Anteprime
Inizia a leggere…
Tre è il numero del Medioevo.
Tre erano i continenti noti agli uomini del tempo. Tre erano le Età di cui parlavano i profeti. Tre erano gli ordini della società. Tre i poteri che governavano il mondo. Tre è il numero perfetto su cui Dante fondò la Commedia.
E infine furono tre le navi che, salpando da Occidente verso occidente, chiusero il cerchio.
Perché il tre è figlio dell’uno
Tre erano i continenti noti agli uomini del tempo. Tre erano le Età di cui parlavano i profeti. Tre erano gli ordini della società. Tre i poteri che governavano il mondo. Tre è il numero perfetto su cui Dante fondò la Commedia.
E infine furono tre le navi che, salpando da Occidente verso occidente, chiusero il cerchio.
Perché il tre è figlio dell’uno
«Il potere
è uno splendido sudario» 2. L’Impero d’Oriente di Giustiniano e Teodora (527-565) Le supplici – La luce delle torce tremola alle pareti. Rischiara appena il corridoio di pietre e mattoni, in fondo al quale brilla la luce del giorno e rimbombano le grida.
La donna avanza piano, senza incertezze, seguita passo passo, come una chioccia, dalle figlie. Sbucheranno nell’immensa piana dell’ippodromo, dove i boati del pubblico accompagnano una battuta di caccia. L’arena si macchia del sangue di cervi, orsi, leoni. L’aria è densa di spettacolo, il crudo divertimento della Costantinopoli imperiale. Poi la caccia ha termine. Inattese, spuntano dalla galleria. Una donna. Tre bambine. Vestite di bianco, le mani strette ai fiori sul petto, sulla testa ghirlande. I suoni si dileguano, la scena viene occupata dal silenzio e da quei piccoli piedi che avanzano da ovest, verso la curva dei Verdi. L’ippodromo è un mondo che riflette l’universo della capitale: sono 100.000 gli spettatori che possono occupare i suoi spalti, circa un terzo dell’intera popolazione di Costantinopoli. Qui si eseguono le sentenze capitali contro i massimi nemici dell’Impero, i generali ottengono il trionfo, il popolo consente o disapprova. Qui l’imperatore si mostra ai suoi sudditi. Ma oggi, nell’anno d’inizio del settimo eone, la loggia imperiale è vuota. Il potere di questa giornata qualunque è nelle mani dei capi delle due fazioni che dividono la città e l’ippodromo: i Verdi e gli Azzurri. Si combattono, si contendono il favore imperiale, gareggiano con i rispettivi aurighi avanti e indietro a rotta di collo, lungo i 400 metri della spina, la linea centrale che taglia l’arena per le corse. Ed è sotto la curva dei Verdi che giungono le supplici. La donna ha perso il marito, il verde guardiano degli orsi. I Verdi l’hanno rimossa dall’incarico, condannandola alla fame. E la donna ha afferrato il coraggio, ha preso per mano le figlie e ora calca la scena più pubblica del mondo, per chiedere aiuto: «Lunga vita a voi, cristianissimi e gloriosi Verdi! Vita e vittoria! Noi siamo oppresse e chiediamo riparo…». Poi, con un gesto provato e riprovato, si inginocchiano. Si sottomettono. Nel silenzio fortissimo, tutti guardano il capo dei Verdi. Si è alzato, ha levato il braccio destro come gli antichi oratori, che chiedevano silenzio per parlare. Ma egli non parla, aggrotta le ciglia e resta muto. Le disprezza, con arroganza, come un piccolo tiranno. È allora che, dalla curva degli Azzurri, si levano alte le voci: «Verdi empi e abominevoli, oppressori di fanciulle!». Gli Azzurri si schierano con le supplici, le accolgono tra le acclamazioni. Inizia una nuova vita. [Cfr. Procopio, Le storie segrete, IX] Teodora, l’«infame» – Una delle bambine orfane di padre che, in quel giorno del 503, sfidarono con la madre il grande palcoscenico dell’ippodromo di Costantinopoli si chiamava Teodora, «dono di Dio». Quel giorno imparò due cose fondamentali: un coraggio estremo e le possibilità – con le incognite connesse… – insite nella metabolé, il «rovesciamento» di cui parlavano le antiche tragedie greche. Perché anche una situazione impossibile poteva essere «rovesciata» a proprio vantaggio. E persino in pubblico… |
Il giglio e il leone
16. La Francia e l’Inghilterra (secoli XI-XIII d.C.) La quiete prima della tempesta – Ammassati nei pressi di Saint-Valéry, in Normandia, aspettano il vento favorevole. Sono migliaia i guerrieri accorsi sotto le insegne del duca Guglielmo. Si addestrano, imparano a fidarsi l’uno dell’altro per il giorno che verrà. Attendono che il vento giri per imbarcarsi sulla più grande flotta mai vista nel nord della Francia: oltre 700 imbarcazioni per 7.000 uomini, stuoli di cavalli e cumuli infiniti di materiale, tutto per tentare l’impresa: conquistare l’Inghilterra.
Guglielmo la vuole. Re Edoardo gliene ha promesso la corona quindici anni fa. Ma quando il buon re è morto, all’inizio di questo 1066, un nobile anglosassone si è fatto incoronare al suo posto: è Aroldo, il traditore, che aveva giurato fedeltà a Guglielmo. Così, tutto riceverà il suo verdetto sul campo di battaglia. Prima però si deve passare il grande canale d’acqua. L’estate passa e il vento resta contrario. Quindi giunge un segno: è una stella dalla lunga chioma, presagio di fortuna per qualcuno e sventura per altri. Ma chi? Dai discorsi nelle taverne trapela timore: quel vento contrario non dice forse che è sfortunata, l’impresa di Guglielmo? E il mormorio cresce tra un bicchiere e l’altro, tanto che il duca organizza una processione: supplicheranno san Valerio, patrono del porto, perché mandi vento propizio. Le reliquie escono dalla chiesa, la cerimonia si snoda in faccia al mare tra i salmi dei chierici e le mezze imprecazioni dei guerrieri. Sino a quando il gallo di ferro in cima alla chiesa gira su se stesso e manda un gemito: il vento è cambiato. Migliaia di grida si alzano, migliaia di piedi corrono verso le navi. Chi spinge e chi cade, i nitriti dei cavalli, lance e spade, scudi e corazze caricati, insieme a barili di carne salata e vino. Bastone del comando in mano, Guglielmo detta gli ordini: si deve salpare al più presto. E il mare brulica di forme umane, sagome di armati e di navi come se un nuovo Agamennone guidasse gli achei alla conquista di Troia. Il suo nome è Guglielmo e oggi pochi osano chiamarlo Bastardo, anche se lo è: figlio illegittimo del duca di Normandia. I guerrieri si stringono l’uno all’altro. L’incognito si agita nel loro immediato futuro, sciaborda contro la pece che tiene unite assi e corde, che tiene a galla i loro destini: basta una tempesta o qualche mostro marino, basta un niente… Ma non accade: l’ultima invasione dell’Inghilterra può avere inizio. [Cfr. Guglielmo di Poitiers, Le gesta di Guglielmo il Conquistatore, II,1-7] I paradossi della storia – Il 14 ottobre del 1066 il re anglosassone Aroldo fu ucciso e sconfitto sul campo di battaglia di Hastings, nell’Inghilterra meridionale, dal duca di Normandia Guglielmo, detto il Bastardo per le sue origini ma da allora rinominato il Conquistatore. La storia dell’isola era a una svolta completa: era finita l’autonomia degli anglosassoni, al governo da quando gli ultimi rappresentanti di Roma se ne erano andati nel V secolo; da quel giorno l’Inghilterra venne retta dai normanni e dai loro eredi, vale a dire uomini con forti legami con l’Europa continentale… |
Ai confini del mondo
17. L’Europa periferica e oltre (secoli XI-XIII d.C.) Alla fine del mondo – Eccola, Roncisvalle. Su quest’erba, secoli fa, Orlando è caduto. Circondato dai nemici morti, Durlindana sotto di lui, altri eroi intorno. Chissà se si può ancora vedere, quella pietra spaccata in due dal colpo della sua mitica spada. Chissà, forse è quel masso deforme che giace lì…
Appoggiato al suo bordone, il pellegrino sembra immerso in un altro mondo, mentre la brezza leggera dei Pirenei gli soffia in volto. È da poco entrato in terra di Spagna, dopo migliaia di chilometri lungo la via tolosana. E prima ancora la via francigena, in Italia. Viene da S. Quirico d’Orcia, portando con sé la bisaccia e un coltello per il pane, un altro per i pericoli. Ha già sfasciato varie paia di suole, fasciandosi i piedi ogni sera e ogni mattina, dolenti e gonfi, spalmandoli con unguenti d’erbe. Un cappellaccio gli copre il capo, mentre pensa alla sua meta laggiù, diritto verso Occidente: Santiago, la tomba dell’apostolo Giacomo. Lì si getterà in ginocchio e pregherà per la sua anima, quella dei congiunti e degli amici, i defunti che hanno già scoperto cosa ci attende, nell’altro mondo. Poi gli sovviene di quanto sia più leggera la sua borsa. Continua a spendere monete a ogni tappa del viaggio e non gli avanza ancora molto di quanto aveva quando è partito. Talvolta la carità di qualche monaco dà conforto, foss’anche una semplice scodella di brodo caldo. E altre preghiere, sguardi e parole scambiati con gli altri pellegrini che viaggiano verso ovest o che tornano a est. La pensava più solitaria, la via. E invece c’è un notevole andirivieni, anche se i momenti di puro silenzio sono tanti. E belli, quando si resta da soli sulla strada, al ritmo dei propri passi e di quelli dei compagni di avventura. Allora immagina anche il grande mare Oceano, le sue onde bianche e grandiose di cui gli dicono tutti quelli che incontra. Lì raccoglierà una delle grande conchiglie che si trovano sulla spiaggia, simbolo del suo viaggio. Perché oltre Santiago, solo qualche miglio più in là, c’è la fine del mondo, c’è la scogliera di Finisterre. La vedrà: la fine del mondo e la porta dell’altro mondo. [Cfr. Guida del pellegrino di Santiago] Al-Andalus – Dal 711 la maggior parte della penisola iberica si trovava sotto la dominazione islamica, a parte una stretta regione settentrionale a ridosso dei Pirenei e la marca ispanica stabilita dai carolingi con capitale a Barcellona. Il centro vitale di al-Andalus – questo il nome dato alle terre spagnole in mano ai musulmani – era costituito da Cordoba, città ricca per commerci e cultura, impreziosita da capolavori artistici come la famosa moschea della città, detta Mezquita, con le sue circa 850 colonne di marmo e granito che dà l’impressione di un’immensa foresta di palme i cui rami si aprono a ventaglio nella grande sala. Tanta magnificenza si spiega con il fatto che fu proprio a Cordoba dove, nell’Alto Medioevo, con la dinastia degli omayyadi il locale emirato evolse in un vero e proprio califfato autonomo (929-1031) dal califfato di Bagdad, e anzi in competizione con esso… |